Inner game per il coaching

coaching e inner game

In che modo possiamo utilizzare l’inner game nel coaching? In che modo, possiamo aiutare i nostri coachee a far emergere il loro gioco interiore e potenziarlo? E, soprattutto, in che modo il coach può potenziare il suo gioco interiore per effettuare delle sessioni di coaching potenti ed efficaci?

In questo articolo, risponderemo a queste domande e approfondiremo l’utilizzo dell’inner game per il coaching.

L’obiettivo è quello di andare oltre la traduzione dell’inner game inteso come gioco interiore spiegato da W. Timothy Gallwey nel suo libro The Inner Game of Tennis (Il Gioco Interiore del Tennis) pubblicato nel 1974.

L’obiettivo è, piuttosto, quello di aiutare i lettori e i coach professionisti di Asso.Co.Pro. a portare l’inner game all’interno delle loro sessioni di coaching.

Andiamo con ordine e spieghiamo brevemente cos’è l’inner game.

Cos’è l’inner game

L’Inner Game (gioco interiore in italiano) è un concetto introdotto da W. Timothy Gallwey, tennista ed istruttore di tennis, considerato uno dei padri fondatori del coaching.

Il concetto si riferisce alla parte mentale del gioco, ovvero alla gestione delle emozioni, della concentrazione e della consapevolezza durante l’esecuzione di una performance.

In particolare, l’Inner Game si concentra sull’eliminazione delle interferenze e delle distrazioni mentali che possono ostacolare il raggiungimento degli obiettivi. Gallwey crede che la maggior parte delle difficoltà che le persone incontrano durante il gioco derivino da una tensione eccessiva, da un eccesso di pensieri e da una mancanza di fiducia in sé stessi.

L’obiettivo dell’Inner Game è quello di sviluppare una consapevolezza profonda di sé stessi, del proprio corpo e della propria mente, in modo da poter superare queste interferenze e raggiungere una maggiore efficacia e soddisfazione durante il gioco e nella vita in generale.

L’inner game trae le sue origini dal mondo sportivo, ma è stato traslato a moltissimi ambiti, in particolare il business e la vita quotidiana.

Differenze tra sè1 e sè2

W. Timothy Gallwey per facilitare la comprensione dell’inner game, individua e distingue due parti all’interno della performance: il sè1 e il sè2.

Sè1 è l’ego consapevole della mente: comanda, giudica, non si fida, interferisce continuamente.

Il Sé2, invece, è l’essere umano in sé: incarna tutto il potenziale innato che abbiamo quando nasciamo, incluse tutte le capacità che abbiamo sviluppato e quelle non ancora realizzate. Incarna anche la nostra innata abilità di imparare e far crescere ognuna di queste innate capacità. E’ il Sé che tutti abbiamo sperimentato quando eravamo bambini.

Il Sè1 è giudicante, è preoccupato della vittoria e della sconfitta, non ammette l’errore, è focalizzato sull’esterno e blocca la libera espressione del potenziale.
Il Sè2, invece, sa imparare per imparare, apprende attraverso l’osservazione e la sperimentazione, non è interessato al risultato, ma solo al piacere in sè della performance e dell’apprendimento.

Ovviamente, il gioco interiore è quello che si innesca tra il Sè1 e il Sè2. Un gioco che diventa inefficace e depotenziante nel momento in cui si lascia spazio al Sè1 nella performance. Si trasforma in potenziante, quando, invece, ci lasciamo condurre dal Sè2.

Infine, per comprendere il gioco interiore e per utilizzare l’inner game nel coaching, dobbiamo prima riprendere la formula dell’inner game.

La formula dell’inner game

Questa è la formula dell’inner game individuata da W. Timothy Gallwey: Performance = Potenziale – Interferenze

La formula suggerisce che la performance è influenzata non solo dalle capacità innate di una persona (il suo potenziale), ma anche dalle interferenze mentali che possono ostacolare la sua esecuzione.

Ciò significa che, invece di concentrarsi solo sulle abilità tecniche o fisiche, si dovrebbe prestare attenzione anche alle interferenze mentali che possono influenzare la performance, come la paura del fallimento o la mancanza di fiducia in sé stessi.

Ovviamente, il Sè1 rappresenta l’insieme di queste interferenze mentali. Invece, il Sè2 raggruppo il nostro potenziale.

Dopo aver spiegato brevemente il gioco interiore, la differenza tra Sè1 e Sè e la formula della performance, siamo pronti per analizzare l’inner game per il coaching.

In che modo utilizzare l’inner game nel coaching

Scopriamo in che modo l’inner game può essere utile per il coaching.

Più precisamente, il gioco interiore descritto da Gallwey può avere almeno un paio di risvolti per il coaching.

Prima di tutto, suggeriamo di applicare il gioco interiore nell’apprendimento delle competenze distintive del coach professionista individuate da Asso.Co.Pro.

Dall’altra parte, invitiamo tutti i nostri coach professionisti ad applicare il gioco interiore non solo per il coachee, ma anche per se stessi.

Se da una parte l’inner game viene sviluppato e applicato nelle sessioni di coaching sul coachee (cliente), dall’altra parte, cosa accadrebbe se anche il coach applicasse su se stesso il gioco interiore durante le sessioni? In fondo, le sessioni sono pur sempre delle performance. Sono incontri in cui il coach e il coachee devono performare.

In qualità di coach siamo abituati a sviluppare il Sè2 dei nostri coachee e siamo portati a potenziare il gioco interiore dei nostri clienti. Oltre a fare questo, dovremmo anche noi coach professionisti applicare il gioco interiore su noi stessi durante le sessioni e dovremmo affidarci al nostro Sè2 nel corso della sessione.

In questo modo, potremmo accedere ad un potenziale nascosto che agisce anche dentro il coach durante la pratica del coaching, potremmo affidarci alla saggezza e alle grandi capacità di apprendimento del Sè2 e, infine, potremmo zittire il nostro Sè1 che tanto può inficiare il percorso di coaching e la nostra sicurezza.

In sintesi, è facile immaginare che un percorso di coaching sia molto più fluido, più profondo e potente nel momento in cui sia il coach, che il coachee si sintonizzino sul loro Sè2 e su quel valore nascosto che è in ognuno di noi.

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